RIONE BORGO

ORIGINE

Borgo, talvolta chiamato I Borghi, in termini amministrativi dal 2013 Borgo, è entrato a far parte del nuovo I municipio.   

Sebbene fortemente trasformato durante la prima metà del XX secolo, Borgo mantiene ancor oggi il suo significato storico di vestibolo di San Pietro e dei palazzi Vaticani tanto che nei primi anni del XX secolo fu nuovamente ipotizzato di riportare il rione, o parte di esso, sotto la sovranità del papa ma alla fine con i Patti Lateranensi del 1929 solo la Città del Vaticano divenne de iure uno stato estero.

L’origine del nome può essere fatto risalire al termine Burg, una sorta di villaggio di piccole dimensioni racchiuso in una cinta muraria e separato dalla città dal momento che per diversi secoli fino al primo ottocento l’area poté mantenere le sue caratteristiche. La borghesia abbandonò il rione per i nuovi insediamenti in Campo Marzio e Borgo divenne un quartiere abitato da gente semplice soprattutto artigiani o lavoratori presso il Vaticano e uomini di chiesa, i quali apprezzavano la vicinanza con la Santa Sede.

Già in quel periodo numerosi erano i venditori di articoli religiosi, chiamati paternostrari o coronari. Alla periferia del quartiere, in vicolo degli Ombrellari, una stradina vicino a Borgo Pio, vennero invece concentrate le botteghe dei fabbricanti di ombrelli, a causa del cattivo odore che emanava dalla stoffa verniciata. In Borgo Vecchio erano attive anche diverse piccole fonderie, specializzate nella fusione di oggetti artistici di bronzo. Un’industria particolare era quella della fabbricazione delle campane: l’ultima fonderia, in vicolo del Farinone, ha chiuso negli anni 90, dopo un’attività durata circa 450 anni. In Borgo prosperavano anche molte famose osterie, dove romani e pellegrini potevano ristorarsi.

Tra i mestieri tipici di Borgo c’era quello di boia anche se esercitato da un unico esperto alla volta. Il più importante e noto, con il soprannome di Mastro Titta, è Giovanni Battista Bugatti.

Ufficialmente il suo mestiere era quello di verniciatore di ombrelli, ma in realtà era il boia dello Stato Pontificio, il “maestro di giustizie” (da cui il termine Mastro). Noto anche come “er Boja de Roma”, iniziò la sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte nel 1796 e fino al 1864 a Roma, il termine Mastro Titta divenne sinonimo di boia, tanto per indicare quanti lo avevano preceduto così come i pochi che lo seguirono. Mastro Titta non era certamente amato dai suoi concittadini, per cui viveva praticamente confinato tra le vie di Borgo sulla riva destra del Tevere, anzi gli era addirittura vietato, per prudenza, recarsi nel centro della città, dall’altro lato del fiume  (così si spiega l’origine del  proverbio romano “Boia nun passa ponte“, a significare “ciascuno se ne stia al proprio posto“). Ma dato che a Roma le esecuzioni capitali pubbliche decretate dal Papa Re, soprattutto quelle “esemplari” per il popolo, non avvenivano nel borgo papalino, ma sull’altra sponda del Tevere ( di solito a piazza del Popolo, piazza di Ponte, Campo de’ Fiori o in via dei Cerchi), in eccezione al divieto, Bugatti doveva attraversare ponte S. Angelo per eseguire le condanne.

A sinistra: il 24 novembre 1868 è il giorno in cui, per l’ultima volta nello Stato Pontificio, furono giustiziati due condannati a morte. A destra: gli “abiti da lavoro” di Mastro Titta, “er boia de Roma”

 

EDIFICAZIONE

La struttura della zona rimase inalterata finchè  con il nuovo Piano Regolatore Generale di Roma voluto da Benito Mussolini, Borgo è rivoluzionato dal progetto di trasformazione del centro storico e in pochi anni è interessato da una importante serie di interventi tanto che nel 1937 è completata la demolizione della Spina di Borgo, così chiamata perché i suoi edifici erano racchiusi tra due strade convergenti, Borgo Nuovo e Borgo Vecchio, che davano all’isolato la forma di un triangolo, per rendere visibile San Pietro da Castel Sant’Angelo, l’antico Mausoleo che custodiva le spoglie dell’Imperatore Adriano divenuto poi fortezza e residenza di pontefici.
A causa della guerra i lavori furono poi interrotti finchè nell’immediato dopoguerra, nonostante il clima politico e quello culturale fossero cambiati, il governo italiano e la Santa Sede decisero di portare a termine il progetto.

La demolizione della Spina dei Borghi e l’apertura di via della Conciliazione fu giustificato dalla volontà di modificare la visuale del Vaticano anche sotto il profilo simbolico.

 

Due propilei furono costruiti di fronte a piazza San Pietro (in quello meridionale fu incastonata l’antica chiesa di San Lorenzo in Piscibus), e due edifici monumentali furono eretti all’inizio della strada verso il castello. I lavori furono terminati in tempo per il Giubileo del 1950, con l’erezione di due file di obelischi che i romani con l’ironia dissacrante che li contraddistingue battezzarono prontamente “le supposte”.
Il risultato fu che quasi tutti gli edifici del Rione situati a sud del Passetto, il passaggio merlato e sopraelevato che unisce i Palazzi Vaticani a Castel Sant’Angelo e che consentì a Clemente VII Medici di fuggire durante il Sacco di Roma nel 1527, furono demoliti per costruire una nuova grande arteria, via della Conciliazione  dal nome del Trattato del 1929 fra l’Italia e la Santa Sede. Furono salvaguardati pochi edifici importanti (Santa Maria in Traspontina, Palazzo Torlonia, Palazzo dei Penitenzieri) solo perché si trovavano più o meno in asse con la nuova strada.
Il giudizio sull’intera impresa, controverso sin dall’inizio, sembra ora essere largamente negativo. Al di là dell’abbattimento di molti edifici con antiche botteghe che ha determinato lo stravolgimento del tessuto sociale, si è persa la “sorpresa” effetto tipico dell’architettura Barocca, quando, alla fine dei vicoli stretti e bui di Borgo, l’enorme piazza con il colonnato del Bernini e la Basilica apparivano all’improvviso.